La responsabilità delle piattaforme di video sharing

di Daniele Costa

in IT e Diritto delle Nuove Tecnologie
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Si torna a parlare del tema della responsabilità dei cd. ISP - Internet Service Provider e, in particolar modo, delle piattaforme di videosharing.

Il Tribunale di Torino - Sezione Specializzata in Materia di Imprese - infatti, interviene nel dibattito con una pronuncia (n. 342/2018) molto articolata, che analizza in profondità i numerosi risvolti pratici della materia su cui gli operatori del diritto si stanno interrogando negli ultimi anni.

Internet Service Provider e piattaforme di videosharing

Iniziamo con un breve inquadramento della fattispecie.

I cd. ISP sono quei soggetti che svolgono un’attività economica, fornendo servizi online (dal sito di commercio elettronico ai siti che offrono “spazio” ai contenuti creati o comunque pubblicati in rete dagli utenti).

Ed è proprio questa seconda categoria di Internet Service Provider - nella quale rientrano anche le piattaforme di videosharing - ad aver creato i maggiori problemi interpretativi in tema di responsabilità.

Cosa accade, infatti, nell’ipotesi in cui venga caricato un video (es. un film o una puntata di una serie TV) i cui diritti d’autore (in primis il diritto di sfruttamento economico) sono riservati? Sarà responsabile il singolo utente che ha materialmente commesso l’illecito o la piattaforma che ha messo a disposizione lo “spazio” per la pubblicazione del contenuto?

Cosa dice il D. Lgs. 70/2003? La figura dell’hosting provider

La materia è regolata dal D. Lgs. 70/2003 (Decreto sul commercio elettronico), il quale, all’art. 16 (responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni - hosting), prevede come il prestatore (es. piattaforma di videosharing) non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio (utente del sito) a meno che: a) non sia effettivamente a conoscenza che l’attività o l’informazione sia illecita; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

Va, tuttavia, citato anche il successivo art. 17, il quale prevede l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza in capo all’hosting provider, contemperato dagli obblighi di: a) informare senza indugio l’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione; b) fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite.

Tutto chiaro?

Non proprio…

Hosting Provider attivo e passivo

La giurisprudenza, infatti, nel corso degli anni ha avuto modo di distinguere tra hosting provider attivi e passivi, ritenendo che il regime di favor previsto dalla normativa sul commercio elettronico fosse applicabile solo ai secondi.

In linea generale, si ritiene che l’attività di hosting da passiva diventi attiva nel momento in cui il provider (vale a dire il fornitore del servizio) intervenga attivamente sui contenuti caricati dagli utenti.

Tuttavia non c’è ancora certezza su come intendere questo “intervento”, vale a dire che non è ancora pacifico quali condotte integrino un intervento rilevante ai fini della distinzione tra hosting passivo ed attivo.

L’orientamento del Tribunale di Torino

Sui criteri da utilizzare per distinguere un hosting passivo da uno attivo interviene il Tribunale di Torino, il quale, con la sentenza n. 342/2018, ricalca l’orientamento già espresso in una precedente pronuncia (n. 1928/2017).

In particolare, i Giudici di merito si sono soffermati su alcuni tipi di “interventi” che vengono spesso effettuati o comunque adottati da questo tipo di piattaforme, per verificare se gli stessi siano sufficienti per qualificare il servizio di hosting come attivo.

Dall’analisi del provvedimento emerge come, secondo il Tribunale di Torino, non costituiscono elementi idonei ad escludere la neutralità del prestatore di servizi - garantendo, quindi, allo stesso il regime di favor previsto per l’attività di hosting (passivo) - le seguenti attività svolte dal titolare della piattaforma:

a) l’indicizzazione e la catalogazione dei contenuti

b) l’abbinamento dei contenuti a una determinata pubblicità affine ai contenuti stessi

c) la conclusione di accordi con gli utenti terzi che hanno caricato i video per la spartizione dei proventi pubblicitari sulla base delle visualizzazioni

A parere dei Giudici, infatti,

tali attività di indicizzazione, organizzazione, e gestione dei video caricati dai terzi non costituiscono elaborazioni idonee a manipolare, alterare o comunque a incidere sui contenuti ospitati, trasmessi e visualizzati sulla piattaforma, ma attengono alla migliore utilizzazione, visualizzazione e sfruttamento commerciale dei contenuti; solo un intervento che modifichi il video caricato da terzi è invece idoneo a far venir meno l’esenzione di responsabilità ex artt. 16 e 17 del D.Lgs. 70/2003

Quali sono i limiti alla rimozione dei contenuti?

La pronuncia in commento si segnala altresì per aver esplorato un ulteriore profilo particolarmente interessante, vale a dire quello relativo al livello di proattività che il titolare della piattaforma deve tenere rispetto ai contenuti.

In altre parole, nel momento in cui viene segnalato un contenuto illecito (mediante indicazione dello specifico url di riferimento), fino a dove deve spingersi l’attività di ricerca da parte dell’hosting provider?

Su questo punto il Tribunale di Torino ritiene di dover distinguere a seconda della data di caricamento, così che tutti i materiali audiovisivi corrispondenti in tutto o in parte a quelli individuati con la segnalazione dello specifico url e caricati successivamente alla ricezione della stessa dovranno essere rimossi da parte della piattaforma, la quale dovrà utilizzare o, in mancanza, adottare misure tecniche adeguate per l’identificazione dei files illecitamente caricati (es. fingerprinting, sistema INA signature), mentre quelli che erano già presenti sulla piattaforma alla data di segnalazione degli url e che non sono stati indicati dal titolare dei diritti di sfruttamento economico non ricadono in questo regime.

L’applicazione di questo principio, a parere dei Giudici della Mole, garantirebbe il “punto di equilibrio” tra i contrapposti ruoli ed interessi dell’hosting provider e del titolare dei diritti d’autore.

Autori

Daniele Costa

Founder

daniele.costa@kbl-law.com

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responsabilita piattaforma videosharing