Come si negozia una opzione put valida in un’operazione di investimento

di Daniele Costa

in Commerciale e Societario M&A e Capital Markets
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Principio: la validità delle opzioni put rispetto al divieto di patto leonino va valutata da un punto di vista sostanziale e non formale; sono, quindi, da ritenersi nulle tutte quelle pattuizioni in grado di provocare una grave e diretta lesione dell’interesse della società ad essere gestita correttamente mediante il contributo e l’apporto di ogni socio.

Il Caso

La fattispecie oggetto della presente pronuncia riguarda la validità di un’opzione cd. put & call operante all’interno di una PMI – costituita in forma di S.r.l. - attiva nel settore dell’editoria (concessionaria di pubblicità) (“Società”).

In particolare, tale contratto era stata negoziato contestualmente al perfezionamento di un’operazione di aumento del capitale con sovrapprezzo avvenuta nel 2013 e sottoscritta da un soggetto terzo, divenuto, quindi, socio della Società (“Socio A”).

Per quanto di interesse, l’opzione put & call prevedeva i seguenti termini e condizioni:

  • il diritto del Socio A di cedere la propria partecipazione (opzione put1), pari al 10%, al Socio B, titolare di una quota pari al 52%, per un prezzo pari all’importo versato in sede di aumento del capitale (€ 250.000,00);
  • il diritto del Socio B di acquistare la partecipazione del Socio A (opzione call) al prezzo di € 400.000,00;
  • le opzioni avrebbero potuto essere esercitate nel periodo 1.03.2018 – 15.01.2019 (“Periodo”);
  • i prezzi di esercizio o strike price sopra indicati erano soggetti ad incrementi pari agli eventuali esborsi che il Socio A avrebbe effettuato nel Periodo (es. aumenti di capitale, finanziamenti soci ecc.).

A seguito dell’esercizio dell’opzione put da parte del Socio A avvenuto nel rispetto del termine previsto dal Periodo, il Socio B decide di adire il Tribunale per richiedere dichiararsi la nullità dell’opzione di vendita per violazione del divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c.2 o, in subordine, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.3.

Il Socio A, dal canto suo, presenta domanda riconvenzionale, chiedendo l’emissione di una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., vale a dire di una pronuncia che determini il trasferimento della quota e l’obbligo di pagamento del prezzo di vendita in favore del medesimo Socio A.

A sostegno della propria linea difensiva, il Socio A, richiamando il recente orientamento della Suprema Corte (n. 17498/2018), deduce che:

  • non è configurabile un’ipotesi di patto leonino, in quanto l’accordo prevedeva sia un’opzione put in proprio favore che un’opzione call in favore del Socio B ed, inoltre, il periodo di esercizio delle due opzioni era limitato;
  • non è altresì possibile richiamare il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, perché è lo stesso art. 1467 c.c. a prevedere l’inapplicabilità dello stesso ai contratti aleatori – vale a dire a quei contratti che hanno, come elemento tipico, il rischio - come il contratto in questione.

La Sentenza

La pronuncia del Tribunale di Milano (sent. n. 4628/2020) ruota intorno al vivace dibattito in ordine alla validità delle opzioni di vendita o opzioni put.

Sul punto vi sono 2 orientamenti:

  • il primo (Cass. 8927/1994) secondo cui siamo in presenza di un patto leonino in tutti quei casi in cui vi è “esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e dagli utili, ovvero da entrambe”. Tali patti possono essere considerati leciti solo a condizione che abbianouna funzione causale meritevole di tutela in quanto non volta unicamente alla violazione del disposto dell’art. 2265 c.c. ma espressione di un interesse alla buona gestione dell’impresa
  • il secondo (Cass. 17498/2018) secondo cui: “E’ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. “put”) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società.”.

Ciò premesso, i Giudici milanesi hanno accolto la domanda del Socio B e, conseguentemente, hanno dichiarato la nullità del contratto di opzione stipulato tra le parti.

La pronuncia in commento merita di essere segnalata perché va ad analizzare una fattispecie concreta che spesso si verifica nelle operazioni di ingresso nel capitale, vale a dire quella della “protezione” dell’investimento effettuato mediante una clausola di opzione put in favore dell’investitore.

L’esercizio di tale clausola consegna, di fatto, all’investitore uno strumento di way out che consente allo stesso di rientrare rapidamente dell’investimento effettuato.

Nella prassi, tuttavia, tali clausole operano da sempre in un’area “grigia”, dove il confine tra pattuizioni lecite ed illecite è molto sottile.

Nel caso in questione, nonostante alcuni accorgimenti posti in essere dal titolare dell’opzione put (Socio B), vale a dire il fatto di avere contemporaneamente previsto anche un’opzione call in favore dell’altra parte e il fatto che il periodo di esercizio delle opzioni fosse limitato nel tempo (meno di un anno), ciononostante tali elementi non sono stati ritenuti sufficienti a “tenere in vita” il contratto.

Hanno, infatti, prevalso altri elementi, di segno opposto, che sono stati ritenuti dirimenti da parte del Tribunale di Milano.

Ci riferiamo, in particolare, al fatto che il prezzo di esercizio non era limitato esclusivamente alla somma versata in sede di sottoscrizione dell’aumento di capitale, bensì ricomprendeva altresì gli importi medio tempore versati nella Società (es. a titolo di finanziamenti, di ulteriori operazioni di aumento del capitale ecc.).

Ci riferiamo, inoltre, al fatto che il Socio titolare dell’opzione put aveva anche il diritto di nominare un membro del Consiglio di Amministrazione, al quale sarebbero state conferite le deleghe per gli atti di ordinaria amministrazione.

Quest’ultima circostanza va di fatto a toccare uno dei nodi principali in ordine alla validità delle opzioni put: parte della giurisprudenza, infatti, ritiene che il titolare di un’opzione di vendita non possa anche esercitare, in maniera diretta o indiretta, poteri amministrativi, in quanto, protetto dalla possibilità di cedere le proprie quote, non avrebbe alcun interesse alla “sana e prudente gestione” della società.

La sentenza in commento merita, infine, di essere segnalata per essersi pronunciata su un interessante profilo relativo alle strategie processuali.

Il Socio B, infatti, probabilmente al fine di conservare l’efficacia del patto di opzione, aveva ridotto il prezzo di esercizio all’investimento iniziale, senza quindi considerare le ulteriori somme versate a vario titolo nella Società nel corso degli anni, ma questo elemento non è stato ritenuto rilevante da parte del Tribunale, secondo cui la nullità del contratto va valutata al momento della stipula e non al momento dell’esercizio.

1In linea generale l’opzione put è un contratto con cui un Socio ha il diritto di vendere la propria partecipazione ad un altro socio ad un prezzo determinato o determinale in un periodo di tempo x.

2Come noto, il patto leonino è quel patto mediante il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Tale accordo è sanzionato dal ns. ordinamento con la nullità, in quanto contrario alla causa principale del contratto sociale, ossia il rischio d’impresa.

3L’art. 1467 c.c. prevede che “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto”. La norma concede, quindi, alle parti un rimedio per far valere le eventuali modifiche della situazione, purché gravi ed imprevedibili, che siano tali da far venir meno l’equilibrio del contratto.